Progetto Sociale: Comunità della cura

PHOTO-2022-08-24-10-40-02

IL NUOVO PROGETTO SOCIALE

Il Gabbiano, con la sua storia che nel 2023 compirà quarant’anni, ha attraversato finora due fasi: la fondazione e la rifondazione. Ne ha iniziata una terza: la trasformazione. Nella prima era il mondo; nella seconda si è aperto al mondo; nella terza, naviga nel mondo. 

Con le sue idee, le sue incursioni, il suo spirito di avventura. Per questo si sente una nave corsara

La prima, dal 1983 al 1996, è stata l’epopea dell’inizio, nel segno indelebile del suo fondatore, Fratel Attilio Tavola. Il Gabbiano è stato in quel periodo una comunità di vita, in cui ospiti e operatori condividevano ogni giorno la stessa esperienza, attorno ai valori dell’ambiente casa, dell’ambiente lavoro, dell’ambiente interiore. 

La seconda, dal 1996 al 2019, è stata segnata dapprima dalla lotta per la sopravvivenza, dopo l’addio traumatico per tutti del fondatore, poi dal riaffacciarsi al mondo, nella dimensione voluta della comunità aperta, libera e responsabile. Sempre nel segno dell’accoglienza estrema, nella convinzione che l’accoglienza in sé è terapeutica. Nel 2019, con la nuova avventura del Progetto Sociale, è iniziato un percorso per condurre a sistema tutte le attività dell’Associazione. Nel 2000 il Gabbiano aveva elaborato un Progetto Educativo, frutto di un intenso dibattito interno e con la supervisione del professor Gaetano De Leo, che meticciava le comunità più strutturate con nuove, intense forme di accoglienza come la comunità a bassa soglia. Nel momento di ripensarlo, abbiamo capito che più che un nuovo Progetto Educativo sarebbe stato utile costruire un Progetto Sociale. Per diversi motivi.

Il primo è che per gli ospiti del Gabbiano: oltre uno su tre senza dimora, quasi uno su due in situazioni di sofferenza psichica, oltre uno su due provenienti dal carcere, diritti essenziali come l’abitare, il reddito, il benessere fisico e mentale sono gli obiettivi più importanti. Terapeutici in sé, come l’accoglienza. Questo richiede agli operatori/operatrici di non essere soltanto educatori/educatrici di comunità, ma operatori/operatrici sociali a tutto campo.

Il secondo è che negli ultimi anni, l’accoglienza al Gabbiano, oltre alle persone con problemi di tossicodipendenza, malati di Aids, minori con problemi di devianza o in difficoltà familiari, si è ampliata ai migranti in fuga da guerre e fame, di detenute e persone transgender in misura alternativa, di persone e famiglie con problemi di sopravvivenza autonoma che abitano i territori in cui siamo presenti.

Il terzo è che queste nuove forme di accoglienza ci hanno portato ad aprire alcuni presidi territoriali, come lo Spazio Sociale di Ascolto e Orientamento “Don Andrea Gallo” nel quartiere di Ponte Lambro a Milano o lo Spazio Sociale Condiviso di Calolziocorte, che sono diventati veri e propri laboratori, anche dentro la pandemia, di lavoro sociale diffuso ed esteso. Quindi di lavoro politico nel senso genuino del termine. Dentro e contro lo stato attuale delle cose.

Il quarto è che lavorare sui territori vuol dire misurarsi anche con i conflitti, le tensioni e i problemi che li attraversano. Abbiamo allora attivato pratiche, strumenti e gruppi per la costruzione di comunità restorative (termine che preferiamo a riparative), ispirate ai principi della Restorative Justice. Con un taglio sociale molto accentuato. E un nuovo tipo di intervento nelle scuole, improntato a questa visione nell’affrontare conflitti e incomprensioni tra giovani e adulti, tra insegnati e genitori.

Il quinto è che rapporto con il territorio significa anche relazionarsi con il suo ambiente, non solo con le persone che lo abitano. Per questo il Gabbiano ha costituito una cooperativa agricola sociale meticcia che coltiva vigneti sulle ardue Terrazze Retiche, contribuendo a salvaguardare un indiscusso patrimonio storico dell ‘umanità riconosciuto dall ‘Unesco, meleti ad agricoltura integrata, orti biodinamici.

Il sesto è che alcuni ospiti delle comunità, nel 2019, hanno fondato il Gruppo Spartaco, che vede gli ospiti stessi come protagonisti della vita comunitaria e delle scelte per il futuro e non oggetti passivi di cura. Nella consapevolezza che la sofferenza individuale può forse non essere necessariamente sofferenza sociale, ma che la sofferenza sociale è sempre anche sofferenza individuale.

Il lavoro del Progetto Sociale è stato avviato attraverso la costituzione di sette gruppi di lavoro (che hanno assunto il nome di navi, a ricordare origine e pratiche corsare del Gabbiano): Nave Dipendenza e Salute MentaleNave SpartacoNave Carcere e Giustizia RestorativaNave GiovaniNave MigrantiNave TerritorioNave Accoglienza