La quarantena ha rivelato l’ipocrisia adulta, degli adulti. La retorica del controllo sociale a casa, della formazione a distanza, stona con il lassismo e l’indifferenza verso gli adolescenti che regnavano prima. Tutti a casa, recitano le sollecitazioni del governo. Tutti a casa, manco la casa fosse stata, prima della segregazione da Covid, un focolare caldo e accogliente per i giovani.
Cosa sappiamo di quel che facevano prima gli adolescenti italiani? Conosciamo, un poco, i loro consumi. Ma si può definire una generazione dai consumi? È giusto farlo? La generazione dei loro genitori ha un lavoro, quasi sempre ottenuto senza grande sforzo. Un lavoro e niente altro. Un lavoro che riempie di senso la vita solo per favorire il consumo. È l’identità consumistica dei genitori che si è trasferita sui figli il vero problema. In queste settimane molti genitori perderanno il lavoro o lo vedranno ridimensionato. Questo produrrà una perdita di denaro, un calo del consumo, un tracollo dell’identità. Finalmente scopriranno che essere cittadini non significa essere consumatori, e viceversa. Lo scopriranno a loro spese. I loro figli lo hanno già capito, perché stare in casa senza uscire per consumare favorisce, di sicuro, una più intima relazione con se stessi. Certo, ci sono quelli che fanno festini e muoiono di overdose, ma sono la minima parte di una generazione che sta crescendo in fretta, in queste settimane. Ho ascoltato ragazzi e ragazze che mi hanno rivelato di aver paura di perdere i loro amori, non i loro vizi. Gli amori. Ci pensiamo mai agli amori degli adolescenti? Gli amori degli adulti sono mediamente un disastro, ma quelli dei sedicenni, dei quindicenni, sono uno sboccio incontrollato di libertà. Temono la solitudine, come tutti gli adolescenti in qualunque epoca. I loro corpi sono propensi all’incontro, all’unione. L’amore è un tramite per l’incontro. Stanno capendo che il contatto virtuale non sostituisce quello reale. Allora, forse serviva questa segregazione da Covid. Ai ragazzi di sicuro. Si confrontano con l’assenza fisica dei loro amici e provano quella vertigine da vuoto che l’umanità colma con la società. L’essere umano non è fatto per la solitudine. È troppo fragile al cospetto del mondo. Siamo esseri sociali. Lo sono i nostri giovani. Le nostre giovani. Reimparino gli adulti ad esserlo. Facciano uno sforzo per capire che si è anche senza consumare. Si è migliori, fuori dalla competizione solitaria con se stessi. Si è decisamente meno volgari, meno violenti, più utili. La società che verrà sarà molto povera, ma questo non deve spaventare. Prendiamo esempio dai giovani. Dobbiamo temere la solitudine, non la povertà.
Leonardo Palmisano