Comunità Restorativa

Veleggiare verso comunità relazionali e restorative.
Accoglienza, ascolto, rispetto della dignità umana, salvaguardia dei diritti, responsabilizzazione, riduzione dello stigma, partecipazione attiva, valorizzazione delle differenze, promozione del benessere, coesione sociale, comunità meticcia. Sono parole-guida che descrivono i nostri valori di riferimento e segnano la rotta del nostro lavoro sociale come un faro nella tempesta e nell’oscurità, quando la rotta può essere smarrita o farsi più confusa. Queste parole-guida sono le stesse che descrivono principi e valori della Restorative Justice: una visione, una prospettiva e un insieme di pratiche che hanno come finalità la rigenerazione delle relazioni tra le persone danneggiate e offese dai reati, dai conflitti, dalle ingiustizie, e chi li ha indotti o provocati, chiamando in gioco tutte le parti coinvolte: chi è responsabile del danno, chi lo ha subito e la loro comunità di vita. Quartiere, rione, città. Stato.
La Restorative Justice abita la storia dell’Associazione. Sul piano teorico, nella vicinanza alla psicologia giuridica e alle teorie sulla devianza di carattere interazionista e costruttivista diffuse in Italia da Gaetano De Leo, con cui è stato ideato nel 2000 il Progetto Educativo del Gabbiano, e nella visione di una comunità coesa verso cui orientarsi e su cui investire energie e impegno. Un modello relazionale (Patrizi, Lepri, Lodi, Dighera, 2016) che sottolinea il ruolo centrale della comunità locale nella genesi e cura dei processi di gestione dei conflitti sociali, nel sostegno alle vittime, nella riparazione e nella rigenerazione dei legami sociali. Il termine Giustizia Riparativa non ha lo stesso impatto di Restorative Justice. Ed è ambivalente: riparo come rifugio, ma anche come obbligo, e non scelta, di riparazione. Semanticamente, non allude a una scelta condivisa. Per questo ci siamo inventati un neologismo come Giustizia Restorativa.
L’approccio restorativo si realizza nell’incontro, nel riconoscimento reciproco, nel dialogo, nei processi di mediazione sociale allargati alla comunità. E pratica di ascolto, di libertà e di responsabilità personale e collettiva che si declina nella concretezza dei gesti, nella cura per rimettere insieme i cocci di un vaso rotto, nella dimensione comune di un progetto evolutivo. Nei contesti in cui il Gabbiano abita e vive, nelle comunità di accoglienza e nei territori, si incontrano persone che vivono o hanno vissuto esperienze di ingiustizia: come vittime, come autori di reato o come osservatori partecipi. Queste persone descrivono e sentono nella carne viva le cicatrici dei danni e della sofferenza interiorizzata: sia nei rapporti umani intorno a loro, che nei percorsi esistenziali. Ciascuno nella propria solitudine. Solo l’incontro e la disponibilità all’ascolto e alla comprensione delle sofferenze subite o inflitte possono produrre un reale cambiamento trasformativo, capace di includere il punto di vista dell’altro e il dolore apparentemente lontano ed estraneo, arrivando a comprendere come le azioni di ognuna delle parti incidano necessariamente sulla vita degli altri. L’esperienza della riparazione restorativa contiene forti potenzialità perché svincola e libera dal senso del danno per sempre irreparabile. Senza dimenticare o negare le ferite.
In questa prospettiva nelle scuole, nei centri diurni, nei consultori, nei servizi per la tutela minori, nelle reti territoriali, negli oratori, nelle biblioteche, nei centri anziani, nelle comunità educative e terapeutiche, nelle organizzazioni sociali si possono realizzare esperienze nelle quali soggetti “terzi” aprono e sostengono l’ascolto, le rielaborazioni, la ricucitura di rapporti e le riparazioni nelle storie dei conflitti, delle spaccature e delle diverse sofferenze, in particolare quelle delle vittime. Accanto a questi interventi si attiva un’azione di coinvolgimento del territorio sia all ‘interno delle istituzioni della Giustizia sia nei luoghi di presenza delle istituzioni e delle istanze sociali, promuovendo nelle comunità locali una rinnovata e arricchita sensibilità al dolore e al valore dell’incontro, non lasciando solo nessuno.
Mai.