Dopo il post della settimana scorsa sull’ingresso della nostra Associazione nel progetto (R) Estate Sicuri abbiamo pensato di pubblicare parole e pensieri di una nostra operatrice che ha vissuto l’esperienza direttamente la notte tra il 15 e il 16 luglio.
Giovedì arriva la richiesta di partecipare con la nostra unità mobile ad un rave tra Lombardia e Piemonte questo week end. Un evento grande, internazionale. Preso. Andiamo.
Venerdì pomeriggio già i giornali ne parlano: troppe targhe straniere in giro per il piccolo paese di Casale. Le forze dell’ordine cominciano a presidiare la zona.
Partenza in camper prevista per mezzanotte. Ma il posto per il rave cambia, si sposta, diventa in forse e poi si conferma a Pieve del Cairo (PV). Partiamo e dopo un paio d’ore arriviamo in zona, dove incontriamo i nostri partner/leader; veloce briefing e ispezione del luogo, in attesa di tracce di musica nella zona identificata a conferma che si farà. Il paese è costellato di lampeggianti blu. Inizia il nostro calvario. Nonostante la nostra identificazione come operatori impegnati nella riduzione del danno, ci rimbalzano da una competenza all’altra per 4 lunghe ore. Intanto incontriamo un sacco di ragazzi diretti al rave (disperati alla ricerca di una via d’accesso), italiani (toscani, marchigiani, valdostani…), ma anche stranieri (francesi, soprattutto) e iniziamo a immergerci, come sempre ci riesce bene, nella relazione. Rimaniamo due ore bloccati ad un posto di blocco, nella speranza che il referente ci lasci passare, in un’ambivalenza di riconoscimento del nostro impegno (e utilità) e zelo professionale. Ci scoccia l’attesa, il rave è ormai partito e noi vorremmo essere sul campo per poter iniziare il nostro lavoro: assicurare il divertimento in consapevolezza e sicurezza. Solo alle 7 di mattina riusciamo ad accedere al luogo dell’evento, dopo ore di diplomazia sudata.
Montiamo al volo la postazione, super efficiente: zona chill out, info point, drugs checking e primo soccorso. Si forniscono cibo, bevande, acqua (il caldo è terribile), materiale di consumo consapevole, prove etilometro, test delle sostanze di consumo, materiale e assistenza medica di base. Il buongiorno arriva da una cinquantina di casse che formano un muro e che iniziano a “pompare” il caratteristico tunz tunz e già (o solo? La percezione del tempo è ormai sfumata) alle 8 di mattina, la “pista” inizia a riempirsi. I ragazzi non tardano ad arrivare al nostro stand, con le proprie gambe qualcuno, trascinato qualcuno d’altro.
Tanti curiosi, richiedono informazioni; tantissimi si fermano per acqua, succhi, frutta e ringraziano per il servizio. Qualcuno resta (o torna) solo per qualche chiacchiera. Arrivano poi anche i lati negativi: ragazzi incoscienti, irrigiditi, confusi, feriti, ma per fortuna senza nessuna vera emergenza nel nostro turno.
Purtroppo il nostro turno è già al termine dopo la lunga notte di assedio e, all’alba delle 12, ripartiamo.
Una ragazza ci ferma sul tragitto e ci chiede un passaggio. J, 24 anni, deve andare in Val Susa. Non dormiva stanotte e ha deciso di presenziare per occupare il tempo, in maniera lucida. Ci racconta un po’ di sé, ci chiede informazioni per amici che si stanno perdendo e ci dice di come lei si sia ritrovata, almeno per ora. Ci parla delle TAZ (temporary autonome zone) che organizza: dove gli stessi ragazzi che organizzano e partecipano all’evento si uniscono in gruppi di formazione autonoma, ma anche attraverso enti specializzati, per un consumo più consapevole e indirizzato alla riduzione del danno. Ci fermiamo a prendere il primo caffè del nostro viaggio (finalmente) e J. Ci fa compagnia. Entriamo e il barista ci chiede dell’evento, in maniera sinceramente interessata e non giudicante. Intenerisce che chieda a J. di poter fare una foto insieme, perché trova bellissimo il cerchietto con campanellini e orecchie da gatto e perché è sua usanza fare una foto ogni anno con un personaggio da rave. J. Si presta in maniera molto dolce e anche io, da educatrice, chiedo di poter scattare una foto ai due perché queste sono le cose che aprono il cuore: incontro, accoglienza, curiosità. Salutiamo poco più avanti J, che ha finalmente raggiunto il suo piaggio porter che la porterà in Val Susa e le auguriamo buona vita.
Perché è questo che auguriamo ogni giorno con il nostro lavoro: una vita di consapevolezza e di serenità in qualsiasi vita decidiamo di scegliere per noi stessi.
Anche se qualcuno, purtroppo, questo diritto lo ha perso: e noi per questo vogliamo esserci. Noi, che siamo sempre quella linea nel mezzo non di separazione, ma di congiunzione, che chiediamo solo questo: esserci, stare, incontrare, ascoltare, affinché ogni vita, sia una buona vita.

 

Grazie al Cooperativa sociale A.E.P.E.R. Bergamo e al suo progetto GoodNight per l’accoglienza nelle loro fila e a tutti gli altri partner infoshock Progetto Neutravel LIVELLO 57 che ci hanno accompagnato in questa avventura.

 

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